Quando la seduzione risveglia l’autenticità: “Il truffacuori” di Pascal Chaumeil

Quando la seduzione risveglia l’autenticità: “Il truffacuori” di Pascal Chaumeil

locandina

Regia:  Pascal Chaumeil
Sceneggiatura:  Laurent Zeitoun, Jeremy Doner, Yoann Gromb
Direttore della fotografia:  Thierry Arbogast
Musiche:  Klaus Badelt
Scenografia:  Hervé Gallet
Costumi:  Charlotte Betaillole
Coreografia:  Christophe Danchaud
Casting:  Tatiana Vialle
Durata: 105 min

– Francia, Principato di Monaco – 2010

PERSONAGGI E INTERPRETI
Alex:  Romain Duris
Juliette:  Vanessa Paradis
Mélanie:  Julie Ferrier
Marc:  François Damiens
Sophie: Helena Noguerra
Jonathan:  Andrew Lincoln
Van Der Becq:  Jacques Frantz
Florence:  Amandine Dewasmes
Dutour:  Jean-Yves Lafesse
Goran:  Jean-Marie Paris

“Amare è un’augusta occasione per il singolo di maturare, di diventare in sé qualche cosa, diventare mondo, un mondo per sé in grazia di un altro, è una grande immodesta istanza che gli viene posta, qualcosa che lo elegge, e lo chiama a un’ampia distesa”. Così scriveva Rilke nelle “Lettere a un giovane poeta”, ed era talmente prossimo alla verità da indurre chiunque a constatare che una condizione umana senza amore è riconoscibile immediatamente per la sua finzione e superficialità, dettate o dall’impossibilità di fare emergere la propria dimensione “inferiore” o dalla paura di non poter reggere alle componenti più forti e intense della propria sfera affettiva. L’Amore chiede ed esige una pubblica esibizione, un palcoscenico che ne affermi la potenza e ne (ri)confermi l’esistenza. E la rappresentazione, commedia o tragedia che sia, si svolge attraverso numerosi atti, nel corso della vita. Troppe volte la successione delle sequenze sentimentali degli individui è affidata ad un unico “regista” che, muovendosi in un “perimetro” rassicurante, è capace di operare all’interno di percorsi narrativi già “collaudati”, attingendo ad un registro di vicende già note. A tale regista potremmo assegnare il termine generico di calcolo, ragione, buonsenso, conformismo, tutto fuorchè passione, coraggio, libertà o autenticità. Da sempre, infatti, l’uomo si sforza di omologarsi ai dettami imposti dal Collettivo, quelli più “pratici”, perché socialmente approvati, ma questo sforzo è spesso una gabbia razionale al cui interno si cela un circuito emotivo incontrollabile. Quante relazioni si fondano su un sentimento autentico, profondo, che escluda il fantasma di un’altra realtà, sognata, ma mai onestamente espressa? Quanti sono in grado di guardare in faccia la realtà falsa e inappagante della propria vita? Quanti sono in grado di affrontare il peso della menzogna, o rischiare l’impopolarità pur di vivere coraggiosamente? Le storie portate in analisi raccontano il distacco, l’indifferenza, l’impossibilità della mediazione tra l’ideale e il reale, il rifiuto della complessità, l’an-estesia, aspetti che in un modo o nell’altro trovano rappresentazione anche nel cinema. Erede del mito e della letteratura, il cinema rappresenta oggi il terreno elettivo per illustrare la complessità e l’ambiguità dell’universo psichico e consentire una loro progressiva ri-elaborazione. “Il pubblico” -osserva Abbas Kiarostami- “si siede davanti allo schermo proprio perché desidera restare bloccato sulla poltrona ma al contempo viaggiare con la mente. Altrimenti non ha senso che il pubblico entri nelle sale cinematografiche, perché questo viaggio lo può fare da solo, all’esterno del cinema. Adesso che l’abbiamo inchiodato su questa sedia, abbiamo il dovere di fargli fare questo viaggio”. Un film riuscito si fonda inevitabilmente sulla capacità di slatentizzare una dimensione interna, sulla capacità di innescare una ‘risposta estetica’, necessaria al risveglio della realtà psichica. Che si tratti delle immagini che scorrono sullo schermo cinematografico, di quelle che irrompono nel setting analitico, o della dimensione immaginale attivata da incontri “casuali” (anche se nulla accade per caso), attraverso il contatto di due modi di vivere all’insegna della verità, si creano inevitabilmente dei fenomeni straordinari. Ordinario è tutto quello che ci riconduce entro confini familiari, routinari, al riparo da imprevisti, ma la vita insegna e il cinema conferma quanto sia necessario il confronto con un maggiore dinamismo. Incontrarsi improvvisamente con un aspetto della propria personalità, grazie ad un altro individuo, essere messi fuori strada da una situazione seduttoria equivale, in fondo, ad entrare in contatto dinamico con aspetti della nostra anima che altrimenti sarebbero rimasti in ombra. Nella dimensione amorosa è attraverso la “dichiarazione” che questa esperienza straordinaria, inizialmente interna e segreta, si apre al confronto con l’altro e si fa storia. Questa apertura all’altro è sulla spinta delle emozioni, del piacere, della sessualità, dello sguardo, del gesto o del sorriso ed è in grado di disinnescare la scelta convenzionale. L’amore è il grande attivatore dell’attività immaginativa, perché grazie al potere della seduzione e dell’incontro, il “senno” viene trascinato, suo malgrado, nel flusso della vita. La seduzione è da intendersi, secondo Carotenuto, “come esperienza di essere portati fuori rotta, mentre nello stesso tempo si viene a confronto con alcuni aspetti della nostra personalità di cui non si sarebbe mai sospettata l’esistenza. ” (1)
La geniale intuizione de Il Truffacuori è quella di svelare, nella sceneggiatura, il meccanismo di seduzione che sta alla base dell’esistenza umana. L’affascinante protagonista del film, Alex Lippi (Romain Duris)  si distingue per la sua abilità di seduttore polimorfo, animato non tanto dall’irrefrenabile quanto patologico bisogno di conquista, ma dalle esigenze “professionali” di dividere coppie la cui parte femminile è significativamente rappresentata da «donne infelici, ma che non lo ammettono»; Grazie alle sue versatili doti di identificazione con il personaggio che di volta in volta incarna il bisogno latente della “preda” da ammaliare, il truffacuori riesce nel suo intento trasformativo, inducendo le ignare donne a prendere coscienza della loro misera condizione. In tutte le varianti del sentimento è facile capire come la solidità dei rapporti possa essere compromessa da motivazioni esterne. Una persona che abbia strutturato la sua vita principalmente su considerazioni di opportunità, calcolo e vantaggio, improvvisamente può essere sconvolta e disorientata da un inatteso rovesciamento di valori, da un disperante decadimento di tutto ciò che fino a un attimo prima aveva rappresentato una recinzione sicura. Lo scoprono tutte le donne che Alex riesce ad affascinare…Così il significato profondo dell’amore si inscrive nel suo movimento e nella capacità che questo stato ha di costringerci a mutare, facendoci divenire noi stessi.
La seduzione può apparire «negativa» soltanto se la esaminiamo dal punto di vista delle categorie «moralistiche», ma non se la esaminiamo in termini psicologici. Da questo punto di vista, come afferma Carotenuto, ogni seduzione rinvia a quell’imprinting iniziale dell’esistenza umana in cui il bambino, con il suo sorriso e il suo sguardo, attiva nella madre un processo seduttorio che permette di essere tenera nei suoi confronti. Questo imprinting iniziale riemerge continuamente ogni qual volta due persone si incontrano…
La seduzione di Alex non è la seduzione maligna di Dongiovanni, non è al servizio del narcisismo, perché non è malattia del possedere. Pur nella apparente “leggerezza” e ovvietà del plot, si ravvisa in fondo una legge d’amore fondata sulla dedizione, che pur profusa a seguito di lauti compensi, non mira alla proprietà dell’altro né garantisce l’appagamento del desiderio sessuale. Il truffacuori, nell’ambito della propria missione salvifica, si limita a baciare le sue “vittime” sicché l’attrarre a sé, il portare fuori, che è Io specifico della seduzione, ha come unico obiettivo rivoluzionare l’altro. Si delinea così, nel film, l’elemento trasgressivo della seduzione, intesa come il momento che permette il capovolgimento di senso, di valori, di punti di vista. In tale prospettiva, la seduzione si iscrive all’interno di un progetto che non è mai di consumo e di violenza, ma che tende a stabilire una coppia di pari, una coppia “genitale”, una dimensione relazionale adulta e autentica. Il nostro simpatico seduttore è ben diverso da chi agisce il proprio fascino in una sorta di “coazione a ripetere” un dramma antico, pregenitale, in balia del suo «demoniaco potere», segnato dalla ferita del predominio della madre, che spesso resta legata a lui sentimentalmente per tutta la vita, pregiudicando nel modo più grave il suo destino da adulto. Il narcisismo perverso, in amore, si estrinseca attraverso un possesso incompiuto ed irrecuperabile. C’è in molti seduttori l’obbedienza alla legge interiore che ci si può appartenere solo per un momento e mai del tutto, e il loro agire è condizionato da una vocazione alla fuga, da una mancanza di stabilità, da un esaurirsi della dimensione progettuale che diventa inesorabile distruzione dell’altro e di sé. Questo tipo di «seduttore» è divorato dal suo stesso demone, sedotto dalla propria dimensione femminile interna, al punto da non poter vivere concretamente il rapporto con una donna reale. Alex probabilmente è, all’inizio della storia, incapace di dialogare efficacemente con la propria Anima, con la propria controparte sessuale inconscia, come dimostrano i continui riferimenti ad una vita di relazione poco stabile o comunque di scarso spessore. L’esercizio ininterrotto delle sue funzioni professionali, che si colloca per “necessità” nella sfera degli affetti, ha tuttavia un risvolto inatteso: egli afferma di essere per certi versi un artista, e l’accostamento immediato per noi è con il mito di Pigmalione, l’artista solitario che sceglie consapevolmente di evadere da una realtà insignificante per vivere la perfezione dell’arte. Alex è un “virtuoso” della sua arte. Nel racconto ovidiano Pigmalione, indignato dalla condotta delle Propetidi, che avevano oltraggiato Afrodite prostituendosi e negando la sua divinità, aveva preferito la vita da celibe e si era ritirato in solitudine. Grazie però alla felice ispirazione del suo talento artistico, scolpì in candido avorio una figura femminile di bellezza superiore a quella di qualsiasi donna vivente. Egli trattava la statua come se fosse una donna vera, dedicandole le amorevoli cure destinate ad un’amante reale e si innamorò della sua opera… L’arte aveva superato in bellezza la realtà perché l’artista aveva creato, dando forma a un’immagine interna che l’abilità artistica aveva, naturalmente, portato all’esterno. Se rileggiamo il mito in chiave evolutiva, allora possiamo individuare nella figura di Pigmalione, come anche in quella di Alex, che forgiano entrambi donne, il percorso che porta ogni uomo a confrontarsi in solitudine con la dimensione inconscia e femminile, per poi accedere alla relazione, che viene per questo, vissuta in modo più consapevole. In questo senso, la capacità di amare scaturisce da una lenta incubazione, più che dall’eccesso di idealizzazione. D’altra parte, il frutto dell’arte di Pigmalione non deriva tanto da una precisa intenzionalità rappresentativa, ma a giudicare dalle parole di Ovidio, l’artista è incredulo rispetto a quanto ha sotto gli occhi. L’amore non nasce dal desiderio di forgiare un’immagine ideale, ma sembra  erompere per “necessità” dall’universo interiore…
Sembra che il destino d’amore di Alex scaturisca proprio dal “frutto” della sua arte: Juliette è certamente la sola donna, tra le tante incontrate per ragioni professionali, a suscitare un sentimento vero, agendo probabilmente da catalizzatore per un processo trasformativo, fino a quel momento misconosciuto. Grazie al contatto con l’algida dimensione affettiva di Juliette, Alex è costretto a confrontarsi in prima persona con la propria affettività e con le sue lacune, rendendosi conto di avere egli stesso fondato un’intera esistenza sulla finzione o sul timore. La presa di coscienza, nell’uno come nell’altra, dei propri limiti, ma anche delle proprie potenzialità espressive, porta ad un inevitabile lieto fine. Attraverso un improvviso cambiamento di rotta dall’ordinario, Alex, pur dismettendo i panni del seduttore è comunque in grado di evidenziare la sua “virilità”, la sua risolutezza, finalmente scevra da artifici e raggiri, e per questo “naturale”, perchè in grado di coesistere con gli aspetti più “femminili”, fragili e dialogici della propria Anima. Romain Duris si impone come un nuovo modello di seduzione, grazie a quello che probabilmente è destinato a divenire uno dei personaggi-simbolo della sua carriera, il truffacuori Alex, sicuramente antitetico rispetto alle varie “declinazioni” misogine derivanti dall’«archetipo» Casanova. Pascal Chaumeil, in questa vitale opera prima, apre una porta sul mondo della relazione, con un atteggiamento ironico e risolutivo, senza note pessimistiche e disperate, senza indulgere in eccessi o volgarità e puntando, più che alla “raffinatezza” della messa in scena, al valore della recitazione, sicchè il film assume i tratti meta-cinematografici di un’apologia delle capacità attoriali.
Marialuisa Vallino

Note:
1.: Aldo Carotenuto, “Eros e Pathos”, pag.50, Bompiani, Milano, 2a ed., Gennaio 1988.