Il Sogno, il Mito e il Cinema: scenari immaginali e mutazioni, Giornale Storico del CSPL, n.34.

Il Sogno, il Mito e il Cinema: scenari immaginali e mutazioni, Giornale Storico del CSPL, n.34.

 

 

 

Marialuisa Vallino, articolo: Il Sogno, il Mito e il Cinema: scenari immaginali e mutazioni, pag. 82 del Giornale Storico del CSPL, fondato da Aldo Carotenuto, n. 34-Mutazioni-

ABSTRACT

Mutazióne è un termine con cui si designa il mutare, il mutarsi, l’essere mutato ed implica il cambiamento, la trasformazione. La metamorfosi riguarda il mutare forma, aspetto connesso alla figura mitologica di Proteo, le cui caratteristiche sono: svelare la verità e mutare aspetto. Il sognatore e il regista condividono con Proteo la capacità di ricreare, di aprire la realtà immaginale alla sfida del mutamento. L’immagine non si identifica con un singolo contenuto, ma si ritrova in ogni altro contenuto, così come l’attività immaginativa non è una fuga dalla realtà, ma un’esperienza vivificante che può sia ‘informare’, sia ‘trasformare’ la coscienza. La nascita contemporanea del Cinema e della Psicoanalisi, alla fine del XIX secolo, ha contribuito a determinare, sin dal principio, un dialogo incessante tra le due ‘discipline’ e il presente articolo ne sottolinea il legame. I riferimenti agli aspetti inconsci sono presenti nelle opere cinematografiche in modo più o meno esplicito, basti pensare al tema del “Doppio” e alle sue modalità rappresentative. Il cinema, inoltre, ha spesso usato il sogno come espediente ‘esplicativo’ o vero punto di partenza per la trama. Immagini e rappresentazioni sono concetti interrelati e connessi al divenire, al perenne fluire della psiche. Accanto al carattere ‘onirico’ della visione filmica, è possibile rintracciare il carattere ‘filmico’ della visione onirica. I sogni presentano numerose corrispondenze con le immagini dei film. Il mio contributo illustra l’attività creativa connessa alla dimensione immaginale che nel sogno come nel cinema si sviluppa a partire da quella ‘chiamata’ all’avventura che caratterizza anche l’eroe del mito. Molte storie cinematografiche possono essere analizzate ricorrendo al paradigma del monomito individuato da Campbell che si inserisce come trait d’union tra mitologia e cinema. La potenza delle immagini si accentua nella misura in cui vengono in luce determinate situazioni archetipiche che al di là del tempo e dello spazio mettono in scena la complessità della vita e i suoi sviluppi. Per certi versi, il cinema è in grado di creare veri e propri modelli di eroi e antieroi, quali ‘mutazioni’ da motivi archetipici.  Ho dedicato particolare attenzione al cinema noir, la cui cifra distintiva rappresenta l’altrove, non di rado connotato in termini orrorifici; il dubbio e la paura connessi all’Altro, gli aspetti inquietanti che si celano al di là del visibile, l’angoscia del limite e gli aspetti oscuri che ciascuno reca dentro di sé sono motivi che attengono alla sfera individuale, ma anche collettiva.

Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, Giornale Storico del CSPL, n.33.

Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, Giornale Storico del CSPL, n.33.

Marialuisa Vallino, articolo: Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, pag. 88 del Giornale Storico del CSPL, fondato da Aldo Carotenuto, n.33-Attraversare-

 

ABSTRACT

L’articolo esamina le caratteristiche dell’Anoressia, un disturbo che vede corpo e psiche legati da una potenza disgregante e mortifera. Il corpo, sottratto al dominio delle pulsioni, diviene il simulacro di una illusoria perfezione e l’individualità scompare dietro un’oscura sofferenza, eclissando il Sé. Dopo una disamina delle caratteristiche cliniche, vengono illustrati i possibili significati sottesi all’espressione patologica, con attenzione allo sfondo mitico che comprende i ‘misteri’, preludio alla rinascita e al disvelamento delle potenzialità creative insite nella psiche. Particolare importanza riveste il concetto di ‘limite’, insito nella patologia anoressica, per i suoi risvolti in termini identitari e relazionali. Alcune figure mitologiche, quali Kore/Persefone, connessa a Demetra, e la ninfa Eco, connessa a Narciso, illustrano alcune dinamiche psichiche. L’attraversamento del confine, l’avventura che dal mondo supero si sposta a quello infero è un percorso ineludibile, connesso ad un’esigenza trasformativa. In accordo con la Psicologia analitica di Jung e la Psicologia archetipica di Hillman, la struttura immaginale della psiche è analoga a quella del mito e spesso compare il tema della catàbasi; la discesa agli inferi è una discesa nell’inconscio e l’individuo deve confrontarsi con le immagini in esso contenute. Nell’oscurità della patologia c’è anche la possibilità di uno ‘svelamento’ del Sé, l’apertura al divenire creativo della vita, come nel caso della poetessa Louise Glück, Nobel per la Letteratura 2020 ed ex ragazza anoressica.

 

 

Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, Giornale Storico del CSPL, n. 33.

Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, Giornale Storico del CSPL, n. 33.

Marialuisa Vallino, articolo: Attraversare l’invisibile: l’Anoressia come eclissi del Sé, pag. 88 del Giornale Storico del CSPL, fondato da Aldo Carotenuto, n.33-Attraversare-

ABSTRACT
L’articolo esamina le caratteristiche dell’Anoressia, un disturbo che vede corpo e psiche legati da una potenza disgregante e mortifera. Il corpo, sottratto al dominio delle pulsioni, diviene il simulacro di una illusoria perfezione e l’individualità scompare dietro un’oscura sofferenza, eclissando il Sé. Dopo una disamina delle caratteristiche cliniche, vengono illustrati i possibili significati sottesi all’espressione patologica, con attenzione allo sfondo mitico che comprende i ‘misteri’, preludio alla rinascita e al disvelamento delle potenzialità creative insite nella psiche. Particolare importanza riveste il concetto di ‘limite’, insito nella patologia anoressica, per i suoi risvolti in termini identitari e relazionali. Alcune figure mitologiche, quali Kore/Persefone, connessa a Demetra, e la ninfa Eco, connessa a Narciso, illustrano alcune dinamiche psichiche. L’attraversamento del confine, l’avventura che dal mondo supero si sposta a quello infero è un percorso ineludibile, connesso ad un’esigenza trasformativa. In accordo con la Psicologia analitica di Jung e la Psicologia archetipica di Hillman, la struttura immaginale della psiche è analoga a quella del mito e spesso compare il tema della catàbasi; la discesa agli inferi è una discesa nell’inconscio e l’individuo deve confrontarsi con le immagini in esso contenute. Nell’oscurità della patologia c’è anche la possibilità di uno ‘svelamento’ del Sé, l’apertura al divenire creativo della vita, come nel caso della poetessa Louise Glück, Nobel per la Letteratura 2020 ed ex ragazza anoressica.

 

Divieni ciò che sei

Divieni ciò che sei

Lo sviluppo della Personalità si afferma nelle possibilità infinite, per l’individuo, di divenire un soggetto sempre più consapevole delle proprie dinamiche interne, vale a dire sempre più capace di evolversi, di superare la sua contingenza e di autogenerarsi. Essere individui significa (come anche l’etimo sembra indicare) essere non divisibili, non scissi, e il processo che ci spinge ad individuarci è un moto di espansione della coscienza, che accoglie, di volta in volta, dimensioni inconsce che ci sfuggono, ma che continuano ad agire su di noi.
Jung probabilmente si rifà ad Eraclito quando afferma che la personalità è un insieme di forze, un gioco di forze contrastanti che tendono verso un equilibrio sempre maggiore, attraverso la dialettica degli opposti: “Ciò che si oppone converge, e dai discordanti bellissima armonia…” (Eraclito, framm.11)
“Divieni ciò che sei, avendolo appreso” è un’esortazione contenuta in un’ode di Pindaro (Pitica, II, 72), e qui è da intendersi come cammino di consapevolezza; l’obiettivo è ricomporre in unità le infinite sfaccettature della propria realtà psichica, attingendo al Sé, quella “personalità di grado superiore” (Jung), quel gioco di luce e d’ombra che deve essere il nostro personale modo di forgiare la realtà. Bisogni senza nome cercano una loro identificazione, voci interne chiedono di essere interpretate, e il nostro sforzo di in-dividui deve diventare quello di aprirci ad una totalità in cui i contrari possano dialogare.
Il malessere insorge quando i bisogni profondi non trovano un valido canale d’espressione…
In quanto psicologi, noi siamo investiti da una particolare responsabilità: quella di accompagnare la persona che cerca il nostro aiuto nel processo di trasformazione di cui essa avanza il bisogno.
Le storie portate in analisi non sono un repertorio nosografico, ma vissuti, sentimenti, che ci parlano dell’incapacità di conciliare parti antitetiche di sé, del rifiuto della complessità, del timore di vivere pienamente. Si è depressi non solo quando si manifestano sintomi eclatanti e tali da richiedere un rapido intervento psicofarmacologico. Si è depressi quando la propria dimensione desiderante viene sostituita dalla paura, una paura che è soprattutto legata alla possibilità di divenire se stessi. Le pressioni culturali verso il conformismo, la piattezza critica, non agevolano certo l’emersione della creatività, l’apertura verso un orizzonte dinamico, ma costringono l’individuo a confrontarsi con una realtà mortifera, che osteggia ogni spinta verso l’autonomia. Il bambino, all’inizio, è totalmente identificato con quelle persone da cui dipendono i suoi bisogni profondi e impara a riconoscersi solo nell’immagine che gli viene rimandata dai suoi genitori. Il protrarsi di tale “meccanismo rispecchiante”, in età adulta, si traduce in un bisogno di ottenere riconoscimenti, di ricevere definizioni risolutorie sulla propria identità e di aderire ad un universo collettivo di riferimento, più che accogliere la propria individualità. La scelta conformista è senza dubbio tranquillizzante e liberatoria, ma getta l’individuo nell’inconsapevolezza di sé, nell’autoinganno.
L’atteggiamento delegante, deresponsabilizzante che si osserva in ambito relazionale deriva dalla colpa, la colpa di vivere la propria “complessità” e di dover essere, per questo, puniti o giudicati. Timore che ha le sue radici nel rapporto che si è andato a definire con i propri genitori, ma soprattutto nel ruolo che l’imago materna e quella paterna hanno sulla strutturazione dell’identità. Archetipicamente, Il femminile è un principio che connette, nutre, vincola, mentre il maschile è fondato sulla legge della violazione, della rottura dell’unità. Scelta e separazione sono necessarie alla crescita, e la capacità di tollerare le frustrazioni e di superare le crisi dipendono dal modo in cui l’individuo ha sperimentato e superato la tensione tra dipendenza e autonomia, interiorizzato il modello relazionale adulto, elaborato i propri conflitti. Le figure reali del padre e della madre sono strumenti inconsapevoli del sistema sociale, e femminile e maschile rappresentano simbolicamente una coniunctio alchemica di completezza, modi complementari di atteggiarsi nella dialettica dell’esistenza, dove ora l’uno, ora l’altro, emergono in rapporto alle esigenze individuali e relazionali, consentendo una fluidità tra interno ed esterno. Solo la dinamica del confronto-scontro consente all’individuo di ricreare la propria vita. Lo sviluppo psicologico si fonda su un lavoro di integrazione che non può escludere i nostri tratti contorti, le nostre ambivalenze, la nostra aggressività, le nostre paure. L’avventura esistenziale si fonda su una dinamica conflittuale: quella tra Individuazione, “divieni ciò che sei”, da un lato, ed eredità collettiva, dall’altro. A volte manifestare la propria diversità o esprimere il proprio dissenso rispetto alle aspettative genitoriali significa imbattersi in una squalifica continua, vivere sentimenti di inadeguatezza che possono nel tempo manifestarsi in un eccesso di impotenza e frustrazione. Identificarsi con un’immagine “alterata” di sé può implicare tutta una serie di esperienze disadattive, che si traducono nella convinzione di essere perseguitati da un destino infausto e molto spesso questa è una profezia che si autoavvera. Se però si riesce a rompere questo circuito “depressivo”, allora si sperimenta la sensazione di poter fronteggiare qualunque situazione. Crescere significa anche riappropriarsi di una potenzialità mai sufficientemente utilizzata, che può essere considerata la propria modalità creativa di plasmare la realtà. Essere individui significa allora essere non divisibili, e la sola spinta al cambiamento può derivare dal bisogno di affermare se stessi e dare spazio e voce ai propri bisogni profondi.
Ricollegarsi al proprio Sé o accompagnare qualcuno nel suo processo di Individuazione significa attuare: (seguendo Wayne W. Dyer, “Il potere dell’intenzione”)
Il senso del possibile
Il senso dell’ammirazione per tutto ciò che si manifesta fuori e dentro di noi
Il senso della conoscenza (cioè il senso della passione e del desiderio)
Possiamo concludere con una frase di William Blake: “Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe agli uomini come realmente è: infinito..” (The Marriage of Heaven and Hell).

Evidenze scientifiche sull’efficacia della psicoanalisi: gli studi
Le prove empiriche a sostegno dell’efficacia delle terapie psicodinamiche sono consistenti e, confrontando le dimensioni degli effetti terapeutici, da molte ricerche emerge che tali percorsi si dimostrano particolarmente efficaci nel lungo periodo rispetto ad altre forme di terapia, con miglioramenti che permangono anche dopo la fine della trattamento, esattamente come sinora teorizzato nella teoria psicoanalitica, sia nei disturbi depressivi che nei disturbi d’ansia. Le ricerche di J. Shedler (Jonathan K. Shedler, “The Efficacy of Psychodynamic Psychotherapy”, American Psychologist, Vol. 65. No.2, February–March 2010), professore di Psichiatria presso l’Università del Colorado (USA) e direttore del servizio di Psicologia dell’Ospedale psichiatrico universitario, hanno portato all’attenzione degli “addetti ai lavori” l’importanza della conduzione di studi rigorosi nel campo delle terapie psicodinamiche. Nello specifico, il suo studio, condotto su più di 1.400 pazienti, ha riguardato oltre 160 ricerche su terapie psicodinamiche e altre forme di terapia, incluse quelle farmacologiche. La psicoanalisi a lungo termine, si è dimostrata persino superiore, in termini di efficacia, ad alcuni trattamenti farmacologici specifici. E’ stato evidenziato dai ricercatori come in molte forme di terapia, basate su evidenze più empiriche (evidence based), i terapeuti più efficaci utilizzino in realtà delle modalità proprie degli psicoanalisti, come: l’esplorazione dei modelli relazionali, l’auto-osservazione, l’esame di punti “ciechi” negli aspetti emotivi. In una serie di studi sulla depressione, Shedler e i suoi collaboratori hanno notato che quanto più i terapeuti, indipendentemente dal loro modello e dal loro orientamento, utilizzavano un atteggiamento psicodinamico, tanto più risultava efficace la terapia. Alcuni professori dell’Università del Michigan hanno presentato nuovi dati sostenendo un nesso di causalità tra il concetto psicoanalitico di conflitto inconscio e i sintomi da disturbi d’ansia. Gli Studi dell’equipe guidata dal Prof. Howard Shevrin, Ph.D., professore emerito di Psicologia presso il servizio U-M Medical School di Psichiatria (Michigan USA), sembrano dimostrare un legame tra conflitti conscio/inconscio e i sintomi del disturbo d’ansia, contribuendo a fornire supporto empirico alla psicoanalisi.

Marialuisa Vallino

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